Sunday, February 3, 2008

Quando Kobe piange

Il duello dura da diverso tempo. Il ritorno dei Saints a New Orleans contro la candidatura della citta' della musica come teatro del All Star Game della prossima settimana. Un codice etico che ha bloccato giocatori come Pacman Jones o Micheal Vick quasi da contrapasso alla rigidita' del padre padrone David Stern. Quello che ha ammesso i mea culpa nel caso Tim Donaghy, lo stesso che ha graziato Isiah Thomas nel processo Saunders per molestie e colpito Amare Stoudamire nelle semifinali play-off dello scorso anno tra San Antonio e Phoenix. Si potrebbe andare avanti ad oltranza fino al punto in cui scopri Nfl and Nba come due colossi sportivi dell'imprenditoria americana e non. La prima porta Giants vs Dolphins (i due team piu' popolari nel vecchio continente) a Londra, studia a come coinvolgere il Messico e fa i conti con una tradizione fin troppo "americana" per poter sconfiggere o anche solo competere, con lo sport in generale. Dal cricket al calcio, dalla pallavolo al tennis.
La Nba, conquistata la Cina che ora si coccola i suoi due nuovi talenti - Yi e' acerbo ma e' interessante, Ming, per quanto grosso e preciso in lunetta, gioca come un centro destinato a non vincere nessun anello - aspettando il terzo e magari il primo thailandese e chiaramente, studia l'Europa. Un mondo o meglio, un mercato interessante, composto da diverse variabili: dall'antimericanismo politico acquisito di alcune societa' ad un mondo di giocare la pallacanestro fin troppo diverso per le attente regole del marketing di oggi. Ma la Nba non e' stupida. Grazie a gente come Nowitzki, Tony Parker, Sam Mitchell testimone dei Toronto Raptors, sa come fare. Completata l'opera di avvicinamento al classico "customers" d'oltre oceano, di sicuro non ci saranno problemi. Non a casa gli Nba Europe Tour stanno avendo sempre maggior successo.

Insomma, un braccio di ferro che ancora una volta gioca tutte le sue carte senza aspettare i fatidici assi nella manica. Non a caso, nella settimana del Superbowl che vuole un sabato con prime tv di film sportivi, pubblicita' gia' veincolanti in attesa del grande show, David Stern si inventa Pau Gasol a Los Angeles. Povera Chicago, mi verebbe da dire. I Bulls, alla faccia di chi gia' si sfregava le mani in chiave dinastia - il 24 guarda a caso e' il numero successivo al 23 - sono forse la squadra che ha pagato piu' di tutti il prezzo della febbre da Kobe Bryant. Kobe qui, Koba la', Kobe piange e se ne vuole andare. Sembrava una stagione Nba ancora una volta indirizzata sull'asse Los Angeles Miami, amici nemici e tanto non succede nulla d'altro. Kobe, viziato, testardo e antipatico e Shaq, latitante e fin troppo demotivato per poter pensare ad una nuova carriera da inventarsi a 35 anni. Balle. Lui, che potrebbe vincere altri tre titoli se si inventasse centro che parte dalla panca, timbra il cartellino per quindici, diciotto minuti di qualita' e poi lascia fare, e' ancora una volta l'uomo che ha cambiato le regole e Miami, purtroppo per loro, ne sanno piu' di qualcosa.

Gasol a Los Angeles pero', e' ancora una volta una di quelle che scelte che mutano il sistema. C'era una volta Boston, e come se alla fine dovessimo lanciare la nuova 500 che si ispira e ricopia in chiave 21esimo secolo quella degli anni '70, c'e' ancora una volta l'asse Boston Los Angeles, da riproporre nel 2008, prima che sia troppo tardi.
Il merito e' tutto di Chris Wallace, uno che parla del trade che ha portato l'Mvp degli Europei di Spagna nella citta' degli angeli, come di un risultato utile che porta due prossime scelte nelle mani di Memphis, assieme ai diritti di Gasol junior e chiaramente i nuovi arrivati. Cinque uomini per uno, un dare e avere che Chris Sheridan, noto editorialista di Espn, ha subito interpretato come una mossa alla Rob Babcock, il gm dei Raptors che diedero Carter ai Nets in cambio dei due Williams, di due future scelte e un Morning che fece subito marcia indietro. Non a caso, tanto per dirla tutta, una delle prime domande che e' stata fatta a Wallace, ruotava attorno alla volonta' di Micheal Heisley, proprietario della franchigia, di "alleggerire" la rosa e provare a "svendere" il team. Assolutamente no, ha risposto lui.

Come dire, tanto meglio pensare a questi Lakers, che non solo con un colpo solo hanno fatto felici Kobe e i suoi tifosi, hanno dato un senso all'estensione di Phil Jackson, ma hanno fatto in modo che a partire sia stato Kwame Brown e non il discusso ma sempre pregiato Lamar Odom, guarda a caso oggetto del desiderio in passato di vari possibili trade mai andati a buon fine. Se poi dobbiamo metterci dello Zen, allora non ho problemi a scrivere che inserire un giocatore come Gasol proprio la' dove avevano bisogno di punti, difesa e personalita', e' molto piu' facile da "fatturare" e inserire nei meccanismi del triangolo, rispetto alla gestione degli equilibri tattici che ruotano attorno a tre stelle del calibro di Allen, Garnett e Pierce: uno non rende e tutti a casa.
In altre parole, con una delle panchine piu' forti del mondo, Los Angeles non ha solo di nuovo una squadra, ma rientra pienamente nella lotta al titolo ad ovest dove, San Antonio fatica, Phoenix cerca di riattaccare la spina a dove Stern l'ha staccata e Dallas, ahime', ora che a Kidd a portata di mano ha paura di fare un altro trade. Questione di ponderatezza cominciando dalle dichiarazioni di Mark Cuban. No rivoluzioniamo nulla. Questione che a forza di deridere gli altri (leggi Isiah Thomas) capisci la saggezza del grande Tonino Zorzi: la minestra se fa, con i ceci che se ga.

Cosa manca? Rimane da capire cosa Memphis vuole fare con Mike Miller, prossimo sulla lista dei partenti, cosa ne pensa Rod Thorn, front office dei Nets che hanno in mano la patata bollente Jason Kidd. Un'altra questione di dare e avere che, guardando Gasol a LA, non ha risparmiato critiche nemmeno al italico Denny Ferry. O forse, a conti fatti quelli che avevano bisogno di muoversi erano proprio i Lakers, che adesso non vedono l'ora di mettere dentro Ariza (fuori fino a meta' marzo) e il bimbo prodigio Bynum. Cleveland che sta ricominciando ad andare puo' aspettare. Dallas ha paura e New Jersey beh, forse leggendo Profumo di Vaniglia di qualche mese fa, si capisce benissimo perche' Kidd vuole andarsene ma probabilmente, ancora una volta c'e' di mezzo il cuore. Il suo, il loro, quello degli altri e perche' no, magari anche il mio.

Intanto, ritornando da dove eravamo partiti, oggi la Nba studia da vicino il fenomeno Superbowl, un giorno da leoni che rida' coraggio e sostanza - almeno nazionale - alla Nfl, partendo dal fatto che una comanda anche fuori, l'altra vorrebbe. Ma avanti di questo passo si comincia a parlare di politica e business ethic, qualcosa che con i Giants alle prese con il futuristico stadio dell'universita' di Phoenix, beh si fa prima a friggere le prime alette di pollo con contorno di patate e cipolla (chiaramente fritte) e pensare alla fatidica frase: che vinca il migliore. Tanto, con NY in finale, per una volta non e' vero. Al diavolo Boston e la mania del vinco tutto io. O meglio, aspettando il baseball che faccio fatica a comprendere, che gli sportivi della Grande Mela vittime dell' "Isiah andando", si possano concedere una bella rivincita. Tanto, come disse qualcuno, era gia' tutto scritto.

2 comments:

Pierluigi said...

Non l'avevo ancora fatto perchè non ci avevo mai pensato..ma complimenti!! I tuoi "articoli" sono splendidi. Grazie a te mi sono avvicinato di più al mondo Nba. Non solo al gioco, ma a tutto l'ambiente. Spero che continuerai così!
Pierluigi(Bologna)

Profumo di vaniglia said...

Non posso che ringraziarti delle belle parole, quindi avanti Savoia che l'Italia e' nostra.
ciao

 

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