Chiamatela pura la mina vagante del balletto nuziale. Quello che vuole Boston come la piu' bella del reame, San Antonio come la prediletta di zio Giove. Quello che comanda, lo stesso che non ha ancora concesso una chances logica ad una squadra che a me piace tantissimo come Phoenix. In fine dei conti, sono proprio queste annate di chiaro scuri che alla fine, quando il gioco si fa duro, finisci per scopri i retrogusti vincenti. Certo, la lista potrebbe essere molto lunga. Potremmo tirare in ballo Dallas la delusa, Miami la controversia o Houston quella che non verra mai. Ma, visto che eravamo partiti da un luogo fin troppo comune, penso sia giusto per un giorno, un'ora o anche solo un paio di minuti, parlare di Detroit.
Dire che ha un coach che non ha ancora mai vinto, e' fin troppo riduttivo. Dire che ha un potenziale incredibile, e' fin troppo scontato. Qui in America, dove anche chi segna di piu' durante le gara del giorno di Natale fa statistica, qui in America sono gia' tutti pronti a pensare ad un duello ad armi contro Boston. Chi ferma Kevin Garnett. Chi sposta l'ago della bilancio tra i piccoli che avanzano e quelli che non sanno. In mezzo, ma solo in mezzo, penso sia il caso di vedere Detroit come la squadra di Rasheed Wallace. Non a caso, con o senza l'autobus da prendere, con o senza la folla per mettersi in fila per quelli che parlano e amano sentirsi, io ogni qualvolta entro in questo spogliatoio, cerco un attimo per andare da Roscoe e chiedergli qualcosa. E' vero, l'umore in un certo senso e' un compagno di viaggio che fa la differenza, anche se Rasheed e' la classica persona che non ti aspetti. Da guerriero in campo, ad asso di classe cristallina. Da uomo dietro le quinte dove l'agonismo e la voglia di prevalere lasciano lo spazio ad una persona a dir di buon animo. Uno di quelli da comitiva, dove lo scherzo, anche se subito, e' sempre ben accetto. "Abbiamo giocato una buona partita - attacca mentro il solito rito della radio a tutto volume fa da sottosfondo in spogliatoio fa da colonna sonora alle varie registrazioni del caso. Una storia, tanto per dirla tutta molto semplice: quando Ben Wallace giocava a Detroit, aveva voluto a tutti i costi portare la musica in spogliatoio. Poi quando e' partito per Chicago, la radio ai Pistons e' rimasta al suo posto, mentre a Chicago gli e' stata proibiuta - contro una squadra di spessore e uscendo alla grande nei momenti decisivi dell'incontro. Penso che sia un passo in avanti verso la nostra nuova dimensione". Un Ben che si lascia andare, un po' come i giornalisti che lo circondano. Non appena i piccoletti cominciano a parlare, l'attenzione si sposta altrove e noi rimaniamo da soli. Rasheed dimmi cos'e' successo lo scorso anno? "Ci siamo bloccati nel momento in cui non bisognava bloccarsi - ha spiegato lui - sono cose che capitano e non devono capitare. Cose che ti aiutano a crescere se penso a questa nuova stagione. Lo sanno tutti che eravamo e siamo sempre una squadra da titolo. Le nuove motivazioni? Mi piace pensare a Detroit come ad una squadra che deve crescere. Fino allo scorso anno tutti ci davano per favoriti invece ora, beh anche Boston vuole la sua parte. Loro contro di noi? Ce la giochiamo ad armi pari, nel senso che vincere adesso e' del tutto relativo. Io sono appena contento che quest'anno nessuno parla di noi come hanno parlato in passato e questo, ci permette di lavorare in santa pace senza dover render conto a nessuno. Se pensiamo un attimo fino all'anno scorso era cosi'. Vale molto di piu' essere come siamo adesso, in termini di migliorare questa o quella cosa, piuttosto che arrivare in fondo e soffrire come abbiamo sofferto lo scorso anno. La ricetta vincente? Trovare la consistenza strada facendo. Trovare la continuita' partendo da quelli che entrano dalla panchina e il resto viene da se. Meglio sentirsi secondi ora e diventare primi domani, piuttosto che lasciarsi andare come negli ultimi anni in cui, ogni cosa sembrava scontata invece non lo e' stata per nulla".Un punto a capo che, problematica tecnica in piu', problematica tecnica in meno, sposa alla perferzione anche il modo di pensare di coach Saunders. Non solo intensita' nel terzo quarto, non solo presenza dalla panchina, ma anche un modo d'essere per farsi trovare puntuali al banchetto nuziale. Quello dove non conta il vestito che porti, bensi' quanta cattiveria hai da spendere. E allora, se li chiamano i "Bad Boys", un motiva ci sara'.
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