(tempo massimo di lettura 2'14''. Scritto ascoltando Foo Fighter Learning to fly in versione acustica)
A lezione di piano dalle streghe di mezzanotte, ti lasci andare con un buon bicchiere di Sighardt Donabaun. Un bianco austriaco molto delicato, sicuramente convinto, molto sicuro di se stesso e fin troppo raffinato per dire fino in fondo quello che si pensa. Ma a volte funziona cosi' e poco conta se per la prima volta in vita mia ero pronto a cenare in quel del Madison Square Garden. Quattro pezzi di pollo senza ossa, due anelli di cipolla fritta, sicuramente un po' di insalata con un condimento a caso. Una sorta di pronti, attenti via, almeno se penso a quello che hanno serivito due settimane fa. Una fonte di gola ben distante dalla delusione d'inizio serata: un pollo fin troppo unto e una timida insalta di tonno che sembrava chiedere aiuto alle lische del pesce che non c'era piu'. Troppo poco. Troppo poco anche per i piu' ottimisti e allora, eccoci qua a raccontare un' altra storia da un mondo che non smette mai di stupirmi.
Che dire, questioni di equilibri, di cose che vanno e vengono senza per forza far recitare alle mie due franchige, nemmeno del cuore, un passato e un futuro da protagoniste. Almeno se non si cambia qualcosa - magari agissero sulle guide tecniche - almeno se penso a quanto scritto su queste colonne in tempi non sospetti sulle potenzionalita' di questa Orlando, almeno se penso alla chiaccherata (qui) con il mitico Pat Ewing. Uno che, disponibilita' a parte, mi ha raccontato quello che per lui sono state, saranno e rimangono le solite cose. Un giro di giostra, una conta al nascondino non fosse che alla fine, quando gli ho chiesto se sente la nostalgia del campo, lui mi ha risposto con un tono molto secco: certo che la sento, ma faccio sempre parte di questo mondo. Ho un ruolo diverso ma mi sento parte attiva e sono contento di lavorare con Dwight Howard. Uno, aggiungo io, con segni zodiacali ben diverso da quel cinese che studiava i gangi del mitico Pat.
Una domanda e una risposta che hanno strappato un sorriso ad un tale che di nome fa Marco Bellinelli. " Parlo dopo - ha esordito al Madison Square Garden contro i "fire Isiah" padroni di casa - devo aver pazienza ma sono contento di questa scelta. Una sorta di pronti via fino a quando, dal mio piccolo, mi son permesso di dirgli: ci mancherebbe altro".
Una domanda e una risposta che mi fa pensare a tante cose, prima fra tutte alla pazienza del viticoltore. "Io seguo la vite tutto l'anno, poi quello che succede dentro le botti di rovere e' una magia che appartiene a questo mondo". Mi ha raccontato Marcello Bucci, tre bicchieri Gambero Rosso per un brunello, il suo riserva Fontelontano 2001, destinato a lasciar parlare. Come dire, voce del verbo pazientare. Ammetto, non ho ancora controllato il Kobemetro sul LA Times a patto che non l'abbiano rimosso, ma quando ho letto 26 all'intervallo, ci ho sperato. Come dire, se non e' pazienza questa, meglio cambiare discorso o soggetto. Un po' come quando tra il dire e il fare ci metti in mezzo il prossimo. Uno che di nome fa Andrea Bargnani. Uno che i santi non dovrebbe neanche incontrarli visto la classe del suo talento, non fosse che anche lui, a volte si deve mettere a giocare a briscola con la sua sorte. Quella che continua a metterlo di fronte ad un signore che di nome fa Sam Mitchell. Uno alla Lawrence Frank, potrei dire, visto che Van Gundy o Popovich non ci nasce ogni giorno. Uno che ogni qualvolta e pronto a pescare l'asso di bastoni, grazie a dio viene chiamato in quel famoso ufficio della citta' canadese. Ehi Sam, mettilo in quintetto che lui e Chris Bosh sono il nostro futuro. Quasi piu' un "tre sette" che altro.
E a pensarci bene, vista l'ingnoranza tipica di chi vuole raccontare la fine della propria giornata, non mi ricordo nemmeno se il buon Dante, nella Divina Commedia, aveva riservato qualcosa di "diabolico" per i non pazienti. A ragionarci sopra, sicuramente qualcuno ha pagato dazio, certo a suonare l'agonia delle unidici di sera, basterebbe farvi sentire che ne pensa il Madison Square Garden, di fatto, mi piace poter ammettere che dopo Kobe, dopo Jason Kidd, ho avuto la fortuna di stringere la mano e scambiare due chiacchere con Chris Mullin. L'unico vero motivo per il quale quando giocavo, ho sempre deciso di prendere quel numero di maglia numero 17. Ad essere sinceri era una casacca sempre libera, ma in giro nel mandamento ce ne erano tre: il mio, quello di "Costa" Tosoratti e il "conte" Vasia Jarc. "I love New York - mi ha detto uno dei miei idoli per antonomasia quasi a dover dare un senso alle mie scelte di vita - e non preoccupatevi per Marco: verranno anche i suoi momenti. E' un rookie e come tale, deve solo portar pazienza".
Bel fare, bel dire o anche solo bel complimento. Pazienza. Potessi dire la mia, potrei dirvi che a volte piangere non ha senso, ma non voglio farla dura, perche' non ha alcun senso. Queste sono solo considerazioni tipiche di chi, con il popcorn salati sotto braccio e una borsa in spalla, con i pantaloni rossi e un capotto Hugo Boss comperato in saldi qualcosa come otto anni fa da Arteni a Udine, se ne e' andato da un posto chiamato Madison Square Garden dopo aver parlato di favole a tema cestistico con i miei eroi del giorno dopo: Baron Davis e Chris Mullin. Certo, ci stava anche Nelly a descrive il proverbio "We still believe" ma per adesso va bene cosi'. Anche se i file audio abbondano e ve li propongo domani con calma, forse chi di solita la pazienza la predica, aveva solo ragione: tutto accade e tutto segue un filo logico.
Per dirmi che ne pensate del nuovo logo, (qui), poi in alto a sinistra c'e' il programma audio di tutte le ultime interviste.
Mitja Viola
Wednesday, November 21, 2007
Bargnani non e' Sam Mitchell e il Beli va
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Profumo di vaniglia
at
4:48 AM
Labels: Racconti metropolitani
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2 comments:
come logo preferivo quello di prima (anche se non era un vero e proprio logo...), per il resto continua così, aspetto con impazienza tuoi nuovi post.
bye
Questa del logo e' solo la prima iniziativa che mi sono posto in chiave "come migliorare il blog"...se poi ti dico chi l'ha fatto...beh...come dico a tutti quelli che passano al convento, fa sempre piacere leggere delle belle parole. Ti aiutano a continuare a credere in se stessi e questa non e' certo cosa di poco conto.
Scrivimi pure quando vuoi
ciao Mit
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